L’INTERNAMENTO DEGLI EBREI A CAMPAGNA.
Ci addentriamo, ora, in quel pezzo di storia, ricco di tanta umanità che inspiegabilmente ancora oggi è tenuto in scarsa considerazione dalla storiografia ufficiale, la memoria degli Ebrei a Campagna durante il secondo conflitto mondiale.
Tra tutti i campi di internamento istituiti in Italia a partire dal giugno 1940 e allestiti in edifici preesistenti quello di Campagna può essere considerato il più grande. Il piccolo comune dell’entroterra salernitano, situato in una gola dei monti Picentini a 270 metri sul livello del mare, in considerazione della particolare cornice morfologica, ben si adatta alle esigenze d’internamento. Gli edifici requisiti sono due ex conventi collocati alle estremità del paese che è raggiungibile mediante un’unica via di accesso: condizione che offre non solo una sorveglianza più agevole ma, soprattutto, un forte deterrente per eventuali fughe.
Data la sicurezza logistica delle sedi individuate e l’immediata disponibilità del Comune alla locazione degli edifici, il Ministero dell’Interno stabilisce che l’ex convento degli Osservanti, in località Concezione, e l’ex convento dei Domenicani, in via San Bartolomeo, possono essere adeguati a campo di concentramento per confinati ed internati civili di guerra.
Il 16 giugno 1940 arrivano a Campagna nel campo della Concezione i primi trenta internati di cui 22 italiani e 8 stranieri, tutti segnalati come elementi pericolosi. In conseguenza del fatto che i due campi di concentramento non garantiscono la presenza dello spazio minimo per muoversi, così come stabilito dalla Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra, agli internati è consentito passeggiare liberamente in paese rispettando l’ambito delle zone autorizzate, delimitate da strisce di pittura colorata sul manto stradale e da tabelle di legno scritte in più lingue poste all’uscita del paese; tali zone non possono essere oltrepassate se non con permessi speciali concessi dalla direzione.
Il campo destinato all’internamento, provvisto di impianti d’illuminazione e di riscaldamento a legna, presenta un corpo di guardia per la sorveglianza dei prigionieri, un alloggio per graduato e carabinieri e un numero variabile di camerate. L’arredamento delle camerate, piuttosto spartano, è comune a quello di tutti gli altri campi e richiama fondamentalmente quello di tipo militare: ad ogni internato, infatti, è assegnata una branda con un materasso di crine, un cuscino, delle lenzuola e due coperte, una sedia o uno sgabello, due asciugamani, un appendiabiti, una bacinella, una bottiglia ed un bicchiere: unici oggetti personali, di cui, per regolamento, gli internati possono disporre. I servizi igienici annessi ai dormitori si dimostrano subito insufficienti a garantire il fabbisogno degli internati per cui nel giugno del 1941, nel campo di San Bartolomeo, si provvede all’ampliamento dei locali igienici con l’istallazione di docce e/o vasche da bagno; l’ampliamento comporta però necessariamente un’ulteriore riduzione dello spazio vitale.
Grazie alla compiacenza delle autorità, dell’intera cittadinanza e delle forze dell’ordine addette alla sorveglianza, che spesso “chiudono un occhio”, gli internati più volte oltrepassano le zone delimitate, senza tuttavia arrecare alcun danno a cose o persone. Il commissariato si trovava a metà strada tra i due conventi, nel palazzo vescovile, dove sono collocati gli uffici della direzione dei campi, guidati inizialmente dal commissario di polizia Eugenio De Paoli. Qui gli internati vengono “schedati” per poi essere destinati ai campi. Il percorso che essi attraversano per raggiungere San Bartolomeo consiste nell’attraversare il corso principale, il ponte in piazza Guerriero e, costeggiando la cattedrale, la ripida salita di via San Bartolomeo, accessibile solo a piedi perché gradonata. Grazie al sostegno morale e materiale della Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei “DELASEM” la vita di comunità degli internati ha un suo particolare sviluppo. Tra le tante attività svolte sono da ricordare: la presenza di un coro e di una piccola orchestra che organizza concerti musicali, rappresentazioni teatrali e mostre di pittura, la redazione di un giornale ciclostilato in lingua tedesca, appassionate partite di calcio, l’allestimento di una sinagoga, la possibilità di consultare migliaia di libri della biblioteca del seminario e di impartire lezioni di lingue straniere ai giovani del posto. Gli internati, quasi sempre ritratti in giacca e cravatta, possono addirittura fittare camere mobiliate nel paese e, senza necessariamente svolgere nessun tipo di lavoro, ricevere un sussidio giornaliero. Nulla cambia per gli internati, nel luglio 1943, in seguito alla cattura di Mussolini. Ma nei giorni successivi all’annuncio dell’armistizio, essi vengono formalmente prosciolti dal direttore del campo in base alle relative disposizioni emanate dal capo della polizia e per mettersi al sicuro dai bombardamenti scappano sulle montagne circostanti. In quei giorni, infatti, Campagna subisce due gravi bombardamenti: il più tragico in piazza Mercato il 17 settembre 1943 causa circa 200 morti, in gran parte civili. Dopo la liberazione di Campagna, avvenuta il 19 settembre, nell’edificio di “San Bartolomeo” viene allestito un campo-profughi gestito dagli alleati.
In questo contesto si colloca la figura di Giovanni Palatucci, personaggio caro agli abitanti di Campagna, ma anche a molti ebrei che debbono a lui la vita.